di Athene Noctua
Il cammino che mi riprometto di percorrere sarà lungo e tortuoso perché il “discorso zanzare” è lungo e necessariamente zigzagante. Visto che ho analizzato la storia della malaria mi sembra coerente affrontare un po’ di sistematica delle zanzare e il meccanismo di trasmissione dei plasmodi (che è anche quello dei virus e delle filarie). Per poi affrontare i criteri di lotta e prevenzione e successivamente ritornare agli aspetti più strettamente sanitari. E poi vedrà.
Una serie di piccole monografie sulle zanzare (e i guai a esse collegate) potrebbe iniziare in mille modi diversi, ma prima è bene sottolinearne l’obiettivo che è quello di dimostrare la complessità e la pericolosità della malaria che a tutt’oggi è responsabile ogni anno di milioni di decessi, senza contare i malati cronici fortemente invalidati per le debilitanti “febbri ricorrenti”.
A mio giudizio il punto focale nasce dall’osservazione che il prof. Battista Grassi fece a Robert Koch, medico, batteriologo e microbiologo tedesco (1843-1910) nonchè premio Nobel che disse: “Vi sono plaghe in Italia dove pur essendovi zanzare pestifere, non v’è traccia di Malaria, per cui le zanzare non hanno nulla a che vedere con la malaria”. Ma Grassi replicò: “Sicuro, ma per contro vi è un altro fatto altrettanto vero: non vi è un luogo malarico senza zanzare per cui la tesi più probabile è che la malaria sia trasmessa da una sola specie di zanzare”. Questa importante deduzione non convinse Koch, i due si lasciarono e ognuno andò per la sua strada.
Dall’aneddoto si può capire come la “caccia ai microbi” sia legata a uomini dalle personalità più varie e ognuno arriva alle sue scoperte per le strade più diverse. Per la malaria bisogna sottolineare che i personaggi erano caratterizzati da tinte (caratteri) forti e contrastanti perché il nostro professore ebbe scontri accesi anche con il dottor Ronald Ross che pur ricevette il Nobel (1902) per i suoi studi sulla malaria a dimostrazione che anche i ricercatori non sempre brillano per il fair play. È anche vero che le zanzare ancora oggi sono oggetto di contrasti su quale strategia sia più logico adottare (ma di questo ci occuperemo in un prossimo capitolo) per difendersi.
Chiave di lettura
Questa nota ripercorre le tappe storiche che segnarono la scoperta, per nulla facile da dimostrare, che la trasmissione della malaria a livello umano era determinata dalla puntura delle anofeline. Seguiranno alcuni cenni sugli aspetti clinici di come l’agente patogeno una volta inoculato induce la malattia e molto sinteticamente le tecniche di lotta. L’obiettivo è approcciare il problema e le possibili soluzioni con le giuste informazioni. D’altro canto, si dice che la storia sia maestra di vita, forse non sarà sempre vero ma più si sa meglio si agisce.
Cenni storici sulla malaria
Partiamo dal primo precetto igienico per la difesa dalle zanzare malarigene risalente a circa 3500 anni or sono (il periodo della storia egizia che comprende le dinastie faraoniche XVIII, XIX e XX nota con il nome di Nuovo Regno) e precisamente a una iscrizione geroglifica incisa nel tempio di Denderah: “Non uscirai di casa dopo il tramonto del sole nelle settimane che seguono l’ingrossamento del Nilo”. Non è questa la sede per entrare nei dettagli di quel flagello, ma merita un cenno il fatto che nella Magna Grecia (intorno al VIII-VII secolo a.C.) la malaria rappresentava un problema sanitario rilevante, limitato fortunatamente a quella manifestazione morbosa nota come malaria terzana benigna e malaria quartana supportata (come vedremo meglio in una prossima nota) dal Plasmodium vivax e P. malariae. Per arrivare all’affrancarsi del Plasmodium falciparum vettore della malaria maligna probabilmente introdotto in Italia dalle cosiddette guerre puniche nel III secolo a.C. Ma la diffusione vera e propria nella nostra penisola inizia nel V secolo d.C. dovuta a gravi sconvolgimenti politici e alle invasioni barbariche causa di carestie, disboscamenti e impaludamenti. Con la caduta dell’Impero Romano vanno perdute le conoscenze mediche e ingegneristiche per cui le cose si complicano e bisognerà arrivare al IX secolo, periodo in cui viene fondata la Scuola Medica Salernitana, in cui si riprende la tradizione medica ellenistica e romana, insieme a quella arabo-ebraica.
A sottolineare l’importanza “militare” della malaria si potrebbe citare il fatto che Federico Barbarossa fu presumibilmente fermato nell’assedio romano del 1167 dalla morte per febbri ricorrenti di 7000 soldati e altri 2000 morirono durante la ritirata verso Nord. Ma persino due papi soccombettero all’esito infausto della malaria: Sisto V e Urbano VIII, accompagnati nell’ultimo viaggio da ben 60.000 persone.
Dal 1116 fino al 1897 si affrancò la pratica della ”estatura” per cui le classi agiate lasciavano le aree malsane per zone più salubri: ad esempio i notabili di Grosseto si spostavano nella vicina Scansano.
Ora è bene concentrarci su alcuni aspetti di biologia applicata e analizzare come l’uomo scoprì la catena epidemiologica plasmodio>zanzara>uomo.
I cacciatori di microbi o per meglio dire di plasmodi
Fino al 1717 la malaria resta collegata alle acque stagnanti tanto che il fenomeno ancora oggi è noto con il nome di “paludismo”, ma una precisa ipotesi che coinvolge un’entità animata la formulò Giovanni Maria Lancisi che suggerì di cercare per mezzo del microscopio e con la massima diligenza possibile l’effluvia animata nel sangue perché in esso probabilmente si moltiplicava. Il Lancisi va oltre indicando le zanzare come lo strumento con cui viene inoculato il liquido velenoso.
Ma il primo a vedere i plasmodi nel sangue di un malarico fu il medico militare francese Charles Louis Alphonse Laveran. Avvenne 137 anni fa (1880) in Algeria e così descrive la sua scoperta quattro anni dopo in una sua nota: “Io esaminai il sangue di un malato in cura per febbre intermittente all’ospedale militare di Costantina, allorché constatai per la prima volta l’esistenza di filamenti mobili che aderivano ai corpi pigmentati e la cui natura animata non era dubbia”. Si trattava indubbiamente dei cosiddetti “corpi flagellati” che si sviluppano nello stomaco delle zanzare (solo quelle portatrici).
Fu però la scuola italiana che approfondì con rigore scientifico il problema: in primo luogo Ettore Marchiafava e Angelo Celli, rispettivamente nel 1883 e nell’85, dimostrarono che il parassita si sviluppa come una minuscola ameba nei globuli rossi del nostro sangue e lo classificarono come protozoo. Fu però Camillo Golgi nel 1892 a scoprire che esistevano più specie di plasmodi che avendo cicli biologici differenti portavano a stati febbrili con una diversa intermittenza (si trattava della quartana e della terziaria benigna). Successivamente ecco Amico Bignami e lo stesso Marchiafava che nello stesso anno scoprì la specie estiva-autunnale della terziaria maligna. E qui scoppia la prima disputa scientifica, in quanto nel 1907 il Laveran nel suo libro “Traté du Paludisme” disconosceva l’esistenza di specie differenti.
Una seconda diatriba dai toni ben più accesi scoppiò fra Ronald Ross (l’estroso) e il nostro Battista Grassi (il metodico). Ross faticò molto a superare l’esame che lo avrebbe abilitato al servizio medico, distratto com’era dalle sue passioni (comporre musica e a scrivere poesie) ma una volta ottenutala fu trasferito in Birmania dove trovò molti malati di malaria e così cercò di trovare i microbi segnalati da Laveran. Dopo aver osservato centinaia di gocce di sangue senza trovare nulla concluse: “Quel medico francese ha torto! Il germe della malaria non c’è”.
Forse Ross si sarebbe fermato e non avrebbe vinto il Nobel se non avesse incontrato Patrick Manson, un medico inglese che, in quel di Shangai, aveva scoperto che le zanzare succhiavano certi vermiciattoli dal sangue dei cinesi malati di malaria e dimostrato che questi vermi potevano svilupparsi nello stomaco delle zanzare. Vero è che i suoi colleghi medici per queste affermazioni l’avevano soprannominato il Giulio Verne della patologia. Con questo accostamento con il famoso romanziere francese si dimostra quanto l’inerzia mentale possa ritardare l’affermarsi di importanti scoperte. Fu così che Manson vide per la prima volta i plasmodi e constatò che quei germi avevano la capacità di moltiplicarsi all’interno dei globuli rossi fino a romperli in tanti frantumi e tutto ciò accadeva, spiegava Manson, quando l’ammalato avvertiva i brividi di freddo. Fu così che un giorno passeggiando con l’amico Ross, Manson gli palesò la sua teoria: “Sapete credo proprio che la malaria sia trasmessa dalle zanzare”. E qui ci fermiamo lasciando il seguito alla prossima puntata, aggiungendo però che forse il primo trattamento antimalarico avvenne intorno alla città biblica di Gerico più o meno nell’800 a. C. e fu effettuato dal profeta Eliseo (citato anche dal Corano come uomo saggio e giusto). Si narra infatti che dissero a Eliseo che il soggiorno nella città di Gerico era assai confortevole, ma le acque davvero pessime (la malaria era endemica) e il profeta si fece portare un vaso pieno di sale che vuotò nelle acque dicendo: “Io ho sanato queste acque ed esse non saranno più causa né di morte né di sterilità”. Come effettivamente si concluse la bonifica antimalarica non mi è dato sapere, però la dice lunga su come anche nella tradizione ebraica la malaria era considerata una maledizione divina, collegata però alle acque stagnanti.
Anofeline: schema di riconoscimento
Uova: le uova delle anofeline sono deposte singolarmente in acque non inquinate e hanno un ben visibile galleggiante che manca nelle uova delle aedes (anch’esse deposte singolarmente, spesso nella fanghiglia; mentre le uova delle culex sono deposte in una sorta di barchette che ne contendono alcune decine
Larve: le anofeline non hanno il sifone respiratorio; le culex hanno un sifone relativamente breve (la lunghezza del sifone è circa 2 volte il diametro) mentre nelle aedes la lunghezza e almeno tre volte il diametro.
Adulti: le anofeline si appoggiano alla superficie in posizione obliqua mentre le culex e le aedes si posano in posizione orizzontale. L’addome delle culex e delle anofeline termina in modo “arrotondato” mentre le aedes hanno il lato B puntuto in quanto spesso ovodepongono nel fango
NB: i dati sono veritieri ma devono essere interpretati come indicativi in prima approssimazione, la determinazione entomologica deve essere affidata a entomologi esperti.