Parassiti e Infestanti

Il fascino nascosto dei parassiti

A Tokyo esiste un piccolo museo dedicato interamente a loro. Che sono più importanti per gli ecosistemi di quanto si pensi.

di Chiara Merlini

Nei musei di storia naturale esistono sezioni dedicate a tutte le forme di vita, e quindi anche ai parassiti, ma pensare a una esposizione interamente riservata a queste forme di vita è un po’ insolito.

A Tokyo, nel quartiere di Meguro, un sobborgo residenziale, sorge un museo molto particolare, interamente dedicato ai parassiti. Infatti, il Meguro Parasitological Museum, fondato nel 1953 da Storu Kamegai (1902-2002), è una struttura dedicata al loro studio, che organizza attività educative, editoriali e di ricerca.

I preparati visibili al pubblico – conservati in formalina – sono 300, ma nel museo sono presenti 60.000 campioni parassitologici, una bibliotecadi 5.000 volumi e 50.000 saggi accademici. E sono esposte inoltre le ceroplastiche di Jinkichi Numata (1884-1971).

Articolato su due piani, il piano terra del museo è dedicato alla biodiversità dei parassiti, mentre il primo piano è riservato alle infestazioni che possono colpire uomo e mammiferi.

Lasciati preconcetti, diffidenza e un po’ di repulsione all’entrata, dentro si scopre un mondo affascinante. Argomenti di interesse, infatti, al museo se ne sono trovano tanti: fatti poco noti, informazioni, immagini che colpiscono molto, anche perché spesso nelle sale sono visibili i parassiti e i loro ospiti, in una commistione affascinante e… piuttosto impressionante. Tutte le tavole esplicative sono scritte solamente in giapponese e anche questo, per chi è digiuno della lingua, lasciando spazio all’immaginazione aggiunge un effetto di disorientamento.

Un lungo viaggio attraverso i secoli

Dal punto di vista evolutivo, i parassiti hanno un’anzianità millenaria, nel corso del tempo hanno modificato la loro struttura per adattarla agli organismi ospiti, un cambiamento che coinvolge molti e diversi parametri, dalla temperatura corporea dell’ospite agli enzimi digestivi, alle difese immunitarie, all’assenza di luce e di ossigeno. Spesso il parassita per sopravvi- vere ha dovuto sacrificare alcune capacità, come quelle sensoriali, nervose, di movimento o digestive ed è capitato che nel corso dei secoli abbiano anche modificato la loro forma: l’adattamento ha affinato la loro morfologia, il loro organismo si è mo- dificato in relazione a un determinato ospite, il ciclo vitale sempre più legato e specifico secondo l’ospite. E senza fargli troppi danni: lo scopo del parassita non è quello di uccidere l’ospite, di provocargli danni letali, che andrebbe contro i propri interessi, perché i trasferimenti in cerca di un altro organismo potrebbero essere problematici (come tutti i traslochi!). A prova di questo, a volte per arginare un’epidemia è stata dottata una strategia allo stesso livello: in Giappone per combattere lo Schistosoma japonicus (un parassita del sistema circolatorio dei mammiferi) è stata utilizzata la lumaca Oncomelania nosophora, che aveva il ruolo di ospite intermedio (ora sono le lumache a rischio di estinzione).

Se i parassiti scomparissero…

A prima vista potrebbe sembrare una buona notizia, ma se si approfondisce appena un po’ l’argomento, si può anche cambiare parere. Ben Panko, che fa parte dello staff di scrittori per Smithsonian.com, ne parla in un recente articolo. Parassita è un organismo che vive a spese di un altro, e pare che il sistema funzioni bene: oltre la metà delle 7,7 milioni di specie conosciute della Terra sono parassite e questo stile di vita si è evoluto in modo indipendente centi- naia di volte. Però in uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances i ricercatori avvertono che il cambiamento climatico potrebbe portare fino a un terzo delle specie di parassiti all’estinzione entro il 2070. Colin Carlson, studente laureato che studia biologia del cambiamento globale presso l’Università di California a Berkeley e autore principale dello studio, afferma che questo potrebbe significare un disastro ecologico. I parassiti, spiega Carlson, sono una parte enorme e importante degli ecosistemi, una parte che è stata trascurata da anni. I cambiamenti climatici hanno una grande parte di responsabilità, non solo per specie più note – e, aggiungiamo noi, più accattivanti e simpatiche – ma anche per i parassiti.

Lo studio portato avanti dal team per saperne di più su come le specie parassite potrebbero sentire il calore nei prossimi decenni ha basato le sue previsioni per questa ricerca su un “modello ingannevolmente semplice” tratto da un importante studio del 2004 sulla rivista Nature, che collegava le percentuali di estinzione delle specie a quanto del loro habitat avrebbero dovuto perdere. Per approfondire dove vivono i parassiti (argomento poco conosciuto) hanno fatto riferimento alla National Parasite Collection dello Smithsonian, che vanta 125 anni di età e contiene più di 20 milioni di esemplari parassiti di migliaia di specie risalenti ai primi anni del 1800. Coinvolta nella ricerca Anna Phillips, zoologa ricercatrice e curatrice allo Smithsonian, i lavori sono proseguiti. Questo, per le sue caratteristiche, potrebbe servire come database storico da cui partire per calcolare le stime di intervalli geografici per specifici parassiti. Utilizzando questa immensa risorsa, i ricercatori potrebbero usare modelli informatici per prevedere cosa accadrebbe a più di 450 diverse specie di parassiti quando i cambiamenti climatici avessero alterato i loro habitat, in base a come sono cambiati negli ultimi due secoli. La loro conclusione: anche negli scenari più ottimistici, circa il 10% delle specie di parassiti si estinguerà entro il 2070. Nell’ipotesi peggiore, un terzo di tutti i parassiti potrebbe scomparire.

Le conseguenze

Questo tipo di estinzione avrebbe moltissime conseguenze sfortunate: i parassiti svolgono un ruolo importante nella regolazione delle popolazioni dei loro ospiti e nell’equilibrio dell’intero ecosistema. In- nanzitutto, uccidono alcuni organismi e rendono gli altri vulnerabili ai predatori. Ad esempio, quando viene infettato dal nematode Trichostrongylus tenuis, l’uccello del tetraone rosso emette un odore più forte, che aiuta i predatori a trovarlo e mangiarlo più facilmente, servendo così a controllare la popolazione di uccelli. I parassiti possono anche avere effetti più indiretti, come le lumache di pervinca infettate con la specie di trematodi Cryptocotyle lingua, per esempio, che mangiano molto meno alghe sulla costa atlantica, perché il parassita indebolisce i loro tratti digestivi. E così ci sono più alghe disponibili per altre specie. In futuro, Phillips e Carlson sperano di fare ulteriori analisi sempre
più precise e più fini, per prevedere in che modo alcuni parassiti andranno in diverse regioni nell’ambito dei cambiamenti climatici. Si aspettano che, come molti organismi, le specie parassite che sono maggiormente in grado di migrare e adattarsi ai nuovi habitat si adatteranno meglio di quelle che sono più legate a determinati luoghi.

E per le persone?

Le prospettive sono preoccupanti, perché i parassiti possono sicuramente essere dannosi per le persone (come nel caso delle zanzare che trasmettono Zika, malaria o febbre dengue), ma in questo caso “il diavolo che si conosci potrebbe essere migliore di quello che non si conosci”. I parassiti e i loro ospiti si sono spesso evoluti insieme per molti anni per mantenere un delicato equilibrio. Dopo tutto, i parassiti di solito hanno poco interesse a uccidere i loro ospiti, spiega Phillips, dal momento che ciò significherebbe perdere le loro case e fonti di nutrimento. Ecco perché le tenie sono raramente fatali per le persone che le hanno; i vermi si sono evoluti per viaggiare verso l’intestino e nutrirsi del cibo che ingerisci, ma raramente assorbono abbastanza calorie per ucciderti. Ma quando un parassita noto si estingue, crea in un ecosistema nuove nicchie aperte per altre specie invasive di parassiti da sfruttare. E ciò può creare opportunità per nuovi incontri tra parassiti e ospiti che non hanno familiarità tra loro e non hanno ancora sviluppato quella relazione non letale.

Fonti: Smithsonianmag, Bizzarrobazar